Dedicato a chi pensa che lo spazio è lontano.

È passata una serie di giornate molto interessanti da quando per la prima volta ho partecipato ad un dibattito cittadino a Roma. L’argomento in questione era riguardante lo spazio e l’interesse di ESA, l’agenzia spaziale europea, nei confronti di come gli abitanti di tutta Europa vedessero le attività che quotidianamente svolge nei suoi centri. Perché questo interesse? Serve che mi presenti:

Mi chiamo Aimar Alberto e sono un ingegnere, di quelli che mandano gli uomini sulla Luna.

Ammetto tutto: questa presentazione l’ho rubata da un film celebre chiamato Sette Anime, ma adoro questa definizione e da quando l’ho sentita ogni tanto la voglio usare anche io. La seconda domanda che potrebbe nascere nella mente di chi legge immagino sia la seguente: cosa potrebbe mai raccontare un ingegnere aerospaziale su una pagina che parla di argomenti del tutto differenti dal suo campo di origine?

Qua si parla dell’esplorazione spaziale, ma non di quella noiosa di cui nessuno sente (o pensa di non sentire) le ricadute nella propria quotidianità. Voglio parlare di quella che ti cambia la vita, di quella che puoi toccare, di quella che di sicuro fra venti anni o poco più ti farà girare a destra piuttosto che a sinistra e non ti permetterà una scelta nemmeno se sei il presidente Obama; se l’argomento ha suscitato un certo interesse in te che leggi allora siamo pronti per partire.

Immagina di essere un astronauta dentro la propria tuta, seduto ad aspettare nella stanza antistante la rampa di lancio. Pensa di dover salire su un nuovissimo lanciatore SLS americano. Non sei un gran viaggiatore? O viaggi ma con i piedi per terra? Nulla di cui vergognarsi: io per primo non partirei per un anno sulla Luna; allora immaginati a capo di una grande impresa spaziale, mentre guardi dalla finestra l’astronave in partenza (Scegli tu chi deve fare l’astronauta al posto tuo…) e preparati allo spettacolo, ripensando a tutta la strada che hai dovuto fare per poter arrivare in quel momento, in quel luogo.

Già, Una lunga strada. Lo spazio richiede sempre lunghe strade, tempi estesi, sacrifici enormi. Il tutto è stato pure appesantito da chi non crede nemmeno che ne valga la pena. In effetti è molto più facile credere a ciò che si vede piuttosto che a quanto accade a centinaia di milioni di chilometri da noi, nel buio più profondo.
La domanda che spicca maggiormente infatti è proprio questa: non serve a nulla esplorare, perché andate su Marte? Perché tutti questi soldi? Perché mai tornare sulla Luna? (E c’è chi in modo audace solleva anche la priorità delle problematiche del mondo)

Ecco: se c’è una tappa che possa essere efficace per il nostro primo capitolo del viaggio spaziale, allora, dovrebbe essere ricercata in modo tale da porre rimedio a questi dubbi, da fornire una giustificazione. In fondo si sa: prima di ogni missione c’è un obiettivo prefissato da raggiungere. Se lo cercassimo, a parer mio, sarei certo che questo riguardi il passato: l’evoluzione del uomo. Durante le lezioni di storia che tutti noi abbiamo dovuto subire a scuola, sempre abbiamo trovato un filo conduttore tra le varie civiltà: l’aggregazione dei popoli. Questo fenomeno fin dall’alba dell’umanità ci ha contraddistinti e, se accettate un parere da qualcuno che chiaramente non è un esperto della materia, ci ha reso più forti.

Essere uniti in fondo implica semplicemente che ci si spalleggia a vicenda, si creano legami, si instaurano trasferimenti di conoscenza. La creazione di città sempre più maestose, con mura capaci di difendere e proteggere il popolo racchiuso all’interno, hanno concesso alle persone di potersi occupare di nuovi quesiti proprio per il motivo che la incolumità dell’individuo non era più elemento di prioritaria importanza o meglio, non più vacillante sull’orlo del burrone giorno e notte.

Laddove si ergeva una città, però, un secondario fenomeno prendeva piede e riguardava, ieri come oggi, il territorio su cui venivano poggiate le fondamenta. A livello ambientale posso affermare con la quasi totale sicurezza che molti di voi possano appoggiare la mia idea, che laddove nasce un complesso urbano il suolo non può che risentirne negativamente. In termini di presenza di flora, di pulizia dell’aria, igiene, pulizia dei corsi d’acqua e su molti altri punti di vista, l’aggregazione del uomo è devastante e desolante. Manca la fertilità del terreno, nei punti dove il terreno per altro non è stato sostituito da colate di cemento. Fogne e scarichi industriali che in gran parte del mondo ancora non subiscono un adeguato livello di controllo e di verifica delle emissioni dannose, provvedono a alterare lo stato fisico di fiumi e della vita presente al loro interno.

Insomma: nonostante i grandi vantaggi che l’unione di più persone può garantire, esiste una grande parte di problematiche alle quali ancora non è stato posto rimedio.
Fin dall’antichità la conseguenza era una ed una soltanto: la produzione dell’intera quantità di beni di prima necessità quali l’agricoltura, l’allevamento, la produzione di beni di consumo e molte altre pratiche si svolgeva all’esterno delle mura principali.

In fondo sarebbe stato assurdo pensare che nel bel mezzo dell’antica città di Roma, potesse essere presente un campo di grano piuttosto che un monumento imponente e maestoso come il Colosseo. In breve: mancava lo spazio (o quello che era presente non era più in grado di fornire i requisiti minimi) e lo cercarono fuori dall’agglomerato urbano.

Caro lettore: non ti sembra una storia nota? Non ti sembra l’analogia della piega dell’evoluzione negativa che la nostra Terra sta subendo negli ultimi vent’anni?

Perché non paragonare la presenza dell’innalzamento delle temperature all’interno di ogni centro urbano, al riscaldamento globale? In ogni città il termometro in media può arrivare a indicare 2 gradi in più rispetto ad un termometro posto nella campagna circostante e quasi a farlo apposta, propongo i due seguenti articoli per confermare questa relazione tra storia delle città del uomo e evoluzione della Terra:

sono ben undici i mesi consecutivi di aumenti record delle temperature a livello globale. Lo segnala il Noaa, National Oceanic and Atmospheric Administration, agenzia federale Usa che si occupa di meteo e ambiente. La temperatura media di marzo sulla superficie di terra e mare è stata di 1.22 gradi superiore alla media del 20esimo secolo che è di 12.7 gradi. Con questi valori marzo 2016 si attesta come il marzo più caldo del periodo 1880-2016, da quando esistono rilievi.articolo intero su 'La Repubblica Online - Ambiente'

I climatologi hanno coniato per le città il termine di “isola di calore”: la temperatura urbana, nei mesi estivi, può superare di tre gradi quella delle campagne circostanti. La prima causa di questo fenomeno è l’assenza di vegetazione. Le piante infatti fanno ombra. In più la fotosintesi è una reazione che consuma calore, sottraendolo all’ambiente esterno. In città poi si accumula molto calore perché i materiali utilizzati per gli edifici e le strade sono scuri e assorbono i raggi solari.articolo intero su 'Focus.it - Scienze'

Non mi sembra il caso di ricercare esempi di mancanza di terreno coltivabile all’interno della città visto che mi viene da pensare che sia praticamente intuitivo per tutti noi capire quanto sia impossibile svolgere attività agricole e di allevamento sul suolo urbano, ma voglio riportare una analogia con quanto avviene a scala globale, sul nostro pianeta:

La prolungata siccità degli ultimi mesi ha riportato in primo piano il problema delle aree a rischio di desertificazione della nostra penisola. Un problema messo a fuoco da studi recenti del Consiglio nazionale delle ricerche. Spiega Mauro Centritto, del CNR: «In Italia, gli ultimi rapporti mostrano che è a rischio desertificazione quasi 21% del territorio nazionale, il 41% del quale nel sud del Paese. Sono numeri impressionanti che raccontano di un problema drammatico di cui si parla troppo poco» … Nel mondo la situazione è altrettanto seria. Sempre secondo Centritto le aree siccitose (ossia sofferenti per scarsità cronica di piogge) coprono oltre il 41% della superficie terrestre, dove vivono circa 2 miliardi di persone. Il 72% delle terre aride si trova in Paesi in via di sviluppo, e la correlazione aridità-povertà è evidente.articolo intero su 'Focus.it - Natura'

Da svariati punti di vista, sorge un quadro allarmante di come per molti aspetti la Terra segua la stessa storia di quella caratterizzante i grandi centri urbani creati dal uomo. L’inquinamento correlato all’effetto serra, la mancanza di fauna nei centri urbani cosi come l’estinzione di specie terrestri e marittime attorno all’intero globo, la desertificazione correlata alla riduzione di suolo urbano disponibile sono i fattori che accomunano i due grandi protagonisti di questo sconcertante paragone. Quale può essere la nostra salvezza?

A rigore di logica possiamo pensare a due soluzioni matematicamente possibili:

  • Interrompere l’aggregazione degli esseri umani (fisicamente impossibile)
  • Ricercare le risorse fuori da questa nuova, enorme città chiamata mondo (fisicamente plausibile)

Ecco: l’ho detto. Andiamo fuori a cercare la sopravvivenza, nello spazio.

Non sarebbe bello poter immaginare di spostare fuori dall’atmosfera tutte quelle pericolose attività quali la generazione di energia dai processi nucleari, la produzione di materiali chimici dannosi lontano dai corsi d’acqua, l’estrazione di minerali direttamente da un pianeta comunque inabitabile? Non sarebbe bello poter pensare che in pochi decenni riusciremmo a trovare una soluzione duratura e pulita per poter salvaguardare il nostro pianeta? il nostro unico pianeta?

Sarebbe meraviglioso si, ma: Dove precisamente?

Rispondere Luna o Marte sarebbe banale e scontato, nonostante una piccola fetta di veridicità almeno per la prima scelta. La Luna può essere un punto di partenza e di progetti che possano usare il suo suolo e le risorse al di sotto di esso ve ne sono in ogni parte del mondo. Dalla creazione di una cintura di pannelli solari per mandare l’energia verso la terra al moon-mining, le opzioni al vaglio sono davvero tante, ma esiste un terzo luogo che potrebbe risultare più taciturno e sconosciuto, il quale nasconde grandissime potenzialità: gli asteroidi.

Di asteroidi all’interno del sistema solare ve ne sono in ogni dove e in ogni quando. Per citare un esempio è dal 2013 che la Terra subisce almeno 3 passaggi ravvicinati di corpi celesti ad alto rischio di impatto, all’anno. Nel 2016 se ne possono contare già due di questi avvenimenti ed il database completo è aggiornato costantemente presso il sito ufficiale della NASA.

Insomma: una miniera d’ora proprio appena fuori dall’uscio di casa.

Perché si dovrebbe parlare di asteroidi? Perché oltre ad essere presenti in quantità praticamente illimitate, contengono ogni sorta di materiale che l’uomo può essere interessato a sfruttare per poter generare nuove tecnologie e per sviluppare a pieno il settore spaziale.

Come viene specificato dalla compagnia “Deep Space Industries” specializzata nello studio di tecnologie per la pratica di asteroid-mining, esiste più platino all’interno di un asteroide di quanto l’uomo ne abbia mai estratto sulla terra.

Fino ad ora possiamo affermare di avere descritto il motivo per cui si dovrebbe ricercare un futuro nello spazio e anche dove poterlo ricercare, ma se volessimo rispettare un minimo le regole del buon giornalismo dovremmo poter rispondere anche ad altri quesiti quali ad esempio: come e quando?

Per semplicità e anche perché il quando mi sembra un ottimo spunto per un buon finale di questa prima tappa, comincerei ad analizzare il come.

L’argomento viene sempre maggiormente discusso nel settore e tra le agenzie. Oggi giorno molti finanziamenti sotto stati inviati a nuove aziende (lo stato del Lussemburgo ha investito oltre 225 milioni in questo settore) come la sopra citata “Deep Space Industries” o la sua concorrente “Planetary Resources”. Ciò non nega alle principali e più tradizionali agenzie quali la Nasa la possibilità di cimentarsi autonomamente nel tentativo di cogliere un astro e portarlo verso la Terra. La missione dell’agenzia spaziale americana, al vaglio per la sua fattibilità proprio in questi mesi, viene chiamata Asteroid Redirect Mission e si pone come target la raccolta di un masso del diametro di 4 metri nella zona definita Near Earth Orbit.

Non sarò la Nasa, ma mostro con piacere anche io tutto il mio interesse per quanto riguarda lo sviluppo delle tecnologie e dei mezzi adibiti alla raccolta di questi interessantissimi corpi celesti, affermando che a livello personale ho letto e scritto molto a riguardo di come e dove si possono cacciare queste prede cosi ambite. In questo senso mi sembra molto bello condividere a pieno la mia passione mostrandovi il mio personale progetto di veicolo, di modo da spiegare e provare che parlo conoscendo bene l’argomento.

Senza entrare nei dettagli, il maggior problema che si deve affrontare a livello tecnico per una missione di questo tipo è l’enorme massa che si deve trasportare e quindi la grande quantità di carburante. Un altro ostacolo è il metodo usato per la cattura dell’asteroide: c’è chi preferisce catturarlo con una enorme “sacca”, chi con una rete metallica. Personalmente ho cercato di capire se fosse possibile ridurre ulteriormente il peso del sistema adibito alla cattura della massa celeste pensando ad uno strumento più compatto, inserito nella parte posteriore del veicolo. Indipendentemente dall’uno o dall’altro metodo la sfida è grande, difficile e molto rischiosa da un punto di vista economico. Da qua può davvero derivare la quinta ed ultima domanda al quale ancora non ho dato risposta (in effetti la domanda “chi?” l’abbiamo approfondita poche righe fa, con la lista dei principali concorrenti): quanto tempo deve passare per una sfida di questo calibro?

Risposta difficile e che se affrontata nel modo sbagliato può generare anche perplessità e dubbi sull’efficacia dello spazio come risposta ai problemi terrestri. Servirà quindi non poca filosofia nel gestire l’argomento e proverò a fornire un ragionamento personale che possa in qualche modo trascendere i fatti, riportandosi piuttosto a quanto so dell’esperienza del uomo e della sua storia:
In fondo lo spirito della scoperta spaziale, diverso non è dallo spirito di ogni altra scoperta effettuata dagli esseri umani e vietato pensare il contrario, perché la differenza in fondo sta solo nel sollevare lo sguardo e staccarsi da terra.

Se fin da subito l’innovazione fosse stata nascosta, allora auspico che dopo vent’anni dalla scoperta del fuoco i primitivi non sarebbero riusciti a scaldare i loro insediamenti e a difendere le loro tribù dall’ambiente feroce che li circondava. Ancora, auspico che a vent’anni dalla scoperta che tra terra e acqua lasciati essiccare si potevano creare mattoni, non si sarebbero erette le prime città della storia: Uruk (in Mesopotamia) o Aleppo a seconda dei parametri di riferimento.

In fin dei conti anche Faraday, una volta dichiarata la scoperta della corrente elettrica, replicò al re che gli chiese cosa se ne sarebbe dovuto fare. Disse:
“Non lo so, ma un giorno ci metterà una tassa sopra”.

Concludo quindi dicendo:
La forza del uomo, sin dai primitivi è stata la mente, non la forza. Il pensiero e l’innovazione non sono mai stati un capriccio, (trascurando quanto compone gran parte del capitalismo moderno) ma fonte di vita senza la quale saremmo morti di freddo, sbranati dai lupi, persi nel buio. Bloccare la ricerca spaziale e soprattutto la ricerca di nuove risorse, sarà come limitare non la nostra sete di scoperta, ma la nostra capacità di sopravvivere su un pianeta che cambia e che volge in peggio il suo aspetto. Partiamo ora per resistere domani. Sarebbe bello riparlarne fra vent’anni anche perché lo spazio, come Roma, non si costruiscono in un giorno, ma non per questo i nostri avi hanno rinunciato.
Ora siamo pronti per il lancio.

Seconda tappa del Viaggio…