“Scomodo, tra idea, ideale e realtà”

Informazione libera, da e per i giovani

Scomodo è nato nell’estate del 2016 e ha preso forma dall’inizio del nuovo anno scolastico. È nato dalla volontà di proporre un modello di informazione alternativo a quello web e dei mass media: la risposta a un modello di informazione in cui non ci riconosciamo è stata, quindi, un giornale indipendente, gestito e scritto dai giovani. Alla prima riunione di settembre eravamo una settantina in totale: oggi a collaborare con Scomodo ci sono più di 200 ragazze e ragazzi, tra studenti medi e universitari, dai 15 ai 25 anni. Per questo sarebbe normale pensare che il nostro “pubblico” sia di soli giovani, ma questo è vero solo in parte: il nostro giornale è per chiunque voglia un’informazione indipendente, critica e approfondita. Tra chi ci sostiene non ci sono solo studenti, alla campagna di crowdfunding con cui abbiamo raccolto più di 25.000 euro hanno partecipato persone di qualsiasi fascia d’età.

Nell’era del web, tornate alla carta stampata. Perché e che cosa è l’informazione per Scomodo?
La scelta della forma cartacea è stata fondamentale. L’informazione sul web è composta da notizie flash, esprimibili in 140 caratteri di tweet, e persino gli articoli che possono sembrare più originali e approfonditi raramente si distaccano da questo modello. L’informazione, soprattutto oggi che si sente continuamente parlare di disinformazione, analfabetismo funzionale e disinteresse, sta tutta nell’approfondimento delle questioni, nel donare al lettore le chiavi per capire la realtà che ci circonda. Questa informazione “lenta, critica e indipendente” è possibile solo attraverso un giornale cartaceo.

Sono Gabriel Vigorito e Mirko Properzi, a parlarci di questa recentissima realtà,nell’interessante articolo che alleghiamo a seguire, nata come fenomeno resiliente, come risposta (una delle tante?) all’ abbandono nel quale Roma si trova attualmente.

 

Tra idea, ideale e realtà: Scomodo

Il brusio sale, i giovani ragazzi romani si muovono. Dare un nuovo volto alla città non sembra più solo un aspirazione.

 

Tra tutti i suoni metropolitani di Roma, al suo centro si leva un mormorio, un vociare che ogni sabato e domenica, nei pressi di Via di Santa Croce in Gerusalemme, infrange il quotidiano e rivela una delle realtà celate della città.

I ragazzi di Scomodo chiamano alle armi, pennelli come spade, scudi di cartone e bombe di vernice. L’appello è rivolto a tutti, per unirsi a loro in un progetto comune, rigenerativo ed urbano, una crociata contro il silenzio che avvolge molte delle facce della storica Lupa. Ecco che sorge la sede di Scomodo a Spin Time Labs.

Scomodo è una realtà editoriale nata nell’Agosto del 2016, con l’obiettivo di riempire con una voce nuova quelle mancanze sociali e culturali che caratterizzano Roma. Il mensile, rigorosamente cartaceo, è autofinanziato con il ricavato dei più noti eventi “le Notti Scomode”, feste organizzate ad hoc, con l’intento di riportare vita e cultura all’interno di edifici dimenticati dalle soprintendenze e, spesso anche dai cittadini. Spin Time Labs ne è un esempio. Un progetto riqualificativo che ha creato uno spazio dinamico, di apprendimento, un luogo accogliente con un particolare sguardo rivolto agli strati disagiati della società. Nella sede di Scomodo saranno proposti corsi di lingua italiana e straniera, laboratori culturali, ma soprattutto dovrà essere una struttura sempre viva dove riscoprire il piacere di far parte di una grande famiglia.

Nell’ultima domenica di Giugno, equipaggiato di vestiti da buttare e d’acqua, sono andato a trovare i ragazzi impegnati, ormai da un mese, alla realizzazione della sede. All’ entrata mi sono trovato circondato da visi familiari – o meglio, famigliari – tutti intenti a fare qualcosa. Chi a verniciare, chi a pulire, chi a scartavetrare. Rimboccate le maniche mi sono messo a lavorare insieme a loro. Tra la musica, la polvere e l’odore di chi lavora, ho fatto nuove conoscenze, sia coetanei che adulti, scoprendo che anche alcune famiglie dei dintorni erano scese a dare una mano. Molta la fatica che però impallidiva di fronte a quella genuina voglia di esserci.

Dopo un pò ho incontrato Edoardo Bucci, direttore del giornale. Ci siamo seduti e abbiamo parlato del progetto:

 

– Come siete venuti a conoscenza con la struttura di Spin Time Labs?

 

<<Inizialmente c’era un rapporto passeggero, ci facevamo riunioni per il giornale. Lo abbiamo conosciuto perché rispondeva ad una nostra stessa sensazione di mancanza da parte della città. Noi abbiamo sempre avuto attivo un percorso sui luoghi abbandonati e parallelamente Spin Time portava avanti questo stesso concetto. Le affinità erano molto forti. Il luogo specifico della sede è stato deciso dopo una lunga esperienza da pendolari di bar in bar per fare le riunioni.>>

 

– Secondo te cosa può rappresentare Spin Time per la città di Roma?

 

<<Spin Time è una esperienza unica che si muove sulle mancanze della città, loro, come noi, operano sul patrimonio pubblico abbandonato. Non è un reparto specifico come sembra, anzi è una delle più grandi mancanze socioculturali ed economiche di Roma. Intervenendo sul patrimonio pubblico si potrebbe permettere di gridare ad una nuova prospettiva e consistenza che, in questo momento, Roma ancora non ha. Spin Time riesce a dare casa a persone attraverso un’ottica di completa apertura, risponde alle esigenze sul patrimonio pubblico e sul sociale attraverso laboratori, corsi di danza, teatro, corsi di lingua per i bambini e oratori. Spin Time si muove su un discorso pluridirezionale, con dietro una questione politica che continua a portare avanti.>>

 

– Come nasce la vostra iniziativa?

 

<< Il lavoro nasce intorno ad una chiamata rivolta alla città, abbiamo fatto un Crowdfunding diverso, chiediamo sia soldi che materiali, ma soprattutto tempo per aiutarci nei lavori. Coinvolgiamo le persone a collaborare con noi e riutilizzare il materiale donato in un’ottica ecologica. In definitiva l’operazione è molto complessa; tante persone da coordinare in una struttura di oltre 2000m2. Oltre alla chiamata nel contempo stiamo collaborando con un team di architetti professionisti ma anche giovanissimi, coordinati dallo studio Alvisi Kirimoto (che ha lavorato anche con Renzo Piano).

Lavoriamo in forma ridotta durante la settimana ma nei weekend, facciamo delle call per coinvolgere tantissime persone. È un lavoro diluito nel tempo ma molto ampio, procederemo per zone, riqualificando prima la hall e poi le stanze. La progettazione sarà partecipata, anche se la struttura in linea di massima è stata già delineata, ci saranno gli spazi polivalenti da strutturare nel tempo e quindi dovranno mantenere una certa flessibilità. >>

 

– Questo è un progetto ambizioso che porta avanti una proposta di riqualificazione importante. Secondo te, è possibile promuovere una forma di progettazione partecipata dello spazio pubblico, non soltanto qui ma anche nel resto del Lazio?

 

<< Penso che la progettazione partecipata sia una risorsa straordinaria per intervenire sul

patrimonio che non riguarda il privato ma riguarda una comunità, quindi si rivolge sia ad una parte ristretta della società che a tutta la stessa in senso macroscopico. Noi stiamo ragionando tanto, oltre che sulla progettazione, soprattutto alle varie esigenze. La raccolta di idee per lo spazio va a rispondere veramente ai bisogni della città e di chi la abita, e promuove un legame reale con e tra le persone.>>

 

Finito con l’intervista mi rimetto a lavorare.

Venuta la sera, terminati i lavori della giornata, lascio il luogo con un pensiero in testa. Forse rispondere all’esigenza e quindi proporre iniziative per far interagire le persone, apre non solo al dialogo ma soprattutto consolida il legame con il luogo che l’abitante-cittadino moderno ha perso. Quindi il costruire insieme la struttura si rivela in tutti i sensi una medicina contro l’effetto collaterale della metropoli che causa, paradossalmente, un’alienazione dalla città stessa e dalla comunità.

Anche io faccio parte di Scomodo, ma ogni tanto me ne dimentico, perché è diventata una

realtà naturale in quanto a chiunque chieda, dal compagno di studi all’estraneo, tutti

conoscono Scomodo, e questo è un punto di contatto, un argomento di cui parlare, su cui

perdere del tempo, è un legame. Ed è bello vedere con un’ottica positiva che quello che stanno costruendo con tutte queste iniziative risponde concretamente alla mancanza di un luogo propositivo, culturale, che dia un’identità e che sia quindi il prodotto dell’identità stessa.

 

Gabriel Vigorito e Mirko Properzi